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Il pino giustifica i mezzi! Attenti piromani, ora gli alberi italiani si fanno giustizia da soli

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«Basta vegetare, è ora di lottare»: è il grido che dalle Alpi alla Sicilia percorre foreste e pinete, vittime quest’anno più che mai della follia dei piromani. Stanchi di subire, nella totale inerzia delle autorità, gli alberi italiani hanno deciso di farsi giustizia da soli, come testimoniano vari episodi registratisi negli ultimi giorni in tutta la penisola. Nel Grossetano un pino marittimo, insidiato da un pazzo con tanica e accendino, gli ha abbattuto un nodoso ramo sulla testa, mandandolo all’ospedale. «Non sarò il Platano Picchiatore di Harry Potter ma sono un vero fusto,» commenta la pianta, compiaciuta. «Pentito io? Figuriamoci. Gli avevo lanciato addosso un paio di pigne d’avvertimento, ma lui insisteva, così ho dovuto usare mezzi più convincenti. E gli chiederò anche i danni per la scalfittura che il suo capoccione bacato mi ha lasciato sulla corteccia».
In Liguria una quercia secolare ha intossicato due piromani emettendo dalle foglie anidride carbonica e lo rifarebbe subito: «Belìn, sono trecento anni che produco ossigeno di prima qualità per quei pezzi di merda, e vogliono bruciarmi? Gli ho fatto assaggiare un bel po’ del sottoprodotto della respirazione arborea, così imparano.» Nel parco della Sila un gruppo di castagni ha usato le radici più sporgenti per rimpallarsi a calci un incendiario, ora ricoverato per fratture e in stato di choc: ai medici ha riferito di essere stato aggredito dal Barbàlbero di Tolkien.
Ancora più agguerriti gli alberi emiliani, che si sono associati in pattuglie di vigilanza chiamate «fronde padane»: «Mica siamo foreste vergini, gli uomini li conosciamo bene: se non ci difendiamo da soli qui finiamo in cenere». La loro tecnica è semplice ma efficace: appena gli alberi-vedetta avvistano un potenziale aggressore, dai rami partono stormi di uccelli che lo ricoprono istantaneamente di guano così spesso e resistente che l’incendiario deve chiamare i Canadair della Protezione civile per farselo lavare via. Per gli alberi più giovani e per gli arbusti della macchia mediterranea, privi di randelli naturali, è tutto più difficile e bisogna cercare altre strategie. Tamerici e mirti seguono corsi di autodifesa tenuti da cactus messicani, i gelsi vogliono imparare dalle mangrovie equatoriali a sollevare le radici dal terreno per sottrarsi agli aggressori con la fuga. Quando non ci si può permettere costosi training, si punta sulla prevenzione, ad esempio mettendo i doppi vetri alle ginestre.


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